Trani, perla dell’Adriatico per le sue straordinarie bellezze storico-architettoniche, fra cui la più bella cattedrale sul mare al mondo, celebre per la pietra di Trani e le sue cave produttive di benessere negli anni ’80, e per essere stata un forte polo del TAC, leader per il calzaturiero negli anni ’90, vanta anche un’insospettabile azienda alimentare di straordinaria importanza. Tra le prime aziende in Italia nel comparto come mono prodotto “tarallo”, Tesori d’Apulia coniuga ricette antiche alla contemporaneità dei concetti di sostenibilità, economica circolare e innovazione tecnologica. Domenico Tarantini è un imprenditore 4.0 che ha fatto il salto di qualità, guardando oltre, pur non provenendo da un milieu familiare imprenditoriale.
Pacato, con quella determinazione che racconta di studio, abnegazione per il lavoro, che ha avuto la lungimiranza di scegliere persone che avessero già il know how per cominciare questa avventura e ha messo a frutto le sue esperienze pregresse, dimostrando che gli sta a cuore ciò che fa e ciò che la sua azienda rappresenta.
Una storia affascinante la sua: un altro contesto di provenienza, un’altra mentalità, che non è quella del profitto e del fatturato tout court. C’è di più. Fare impresa non è difficile, bisogna avere una visione totale.
La qualità non è solo uno slogan, questo l’assunto perentorio di tutto rilievo del CEO di Tesori d’Apulia.
Qui in questa azienda a Trani vige una grande attenzione all’ambiente. La qualità non è solo di prodotto ma anche di processo. Tutta l’alimentazione della linea di cottura, compresa la bollitura, è a pellet, le acque di scarto sono fito-depurate, il nuovo packaging in via di lancio è totalmente riciclabile. Un’azienda moderna, questo è il terzo stabilimento, aperto a fine 2017, che conferisce subito il concetto dell’asettico, perché sacro è il tarallo e il cibo per qualsiasi pugliese, ma anche l’idea dell’attenzione alla produzione da parte di tutti, dipendenti compresi. Una catena di produzione evoluta, con accorgimenti che fanno la differenza.
Una potenzialità di 100-110 quintali al giorno, una dimensione aziendale importante e tanti controlli, per legge, ma anche per etica d’impresa. Talvolta eccessi di zelo che mirano ad un unico credo: la qualità.
Domenico Tarantini: Ho deciso per causalità, sotto la spinta di un amico che ha dei supermercati in zona che mi rappresentò la forte crescita e vendita del prodotto.
Tutto sommato se si parte da una piccola azienda non è difficilissimo fare impresa. Bisogna essere bravi a farsi apprezzare e a vendere il prodotto. Il tarallo è tipico della Puglia e la rappresenta, ma se non è buono non ha lunga vita.
Quando sono partito con questa avventura ho sempre pensato che il prodotto potesse essere apprezzato per la qualità prima di fregiarmi del titolo di imprenditore. Finora ci sono riuscito.
Io non provengo da una famiglia di imprenditori. Sono figlio di un maestro elementare che quando c’era ancora la lira è riuscito a mantenere dignitosamente una famiglia di 5 persone e pagare un mutuo di casa.
Non avevo grandi aspettative, facevo tutt’altro nella vita.
Avevo una piccola impresa edile, una ditta di ristrutturazioni, e prima ancora ho lavorato per i Mastrogiacomo (Centro Turistico Mastrogiacomo e Divinae Follie). Sono entrato lì come pr e poi mi è stata affidata la gestione del personale. All’epoca il Divinae, la più grande discoteca del sud Italia, era l’ombelico del mondo.
La gente veniva da tutta Italia. Loro sono stati veri pionieri nel mondo dell’intrattenimento.
Proprio perché io non provengo da una famiglia di imprenditori, non ho l’assillo di guadagnare tanto per diventare ricco, ma solo quello che l’azienda debba crescere sempre più grazie alla qualità.
Non ho mai derogato su quest’ultima dall’inizio, da quando producevamo 3 quintali al giorno ad ora che ne produciamo più di 100.
E il fatto che io non faccia magazzino lo comprova! È un po’ come si fa per la moda prêt-à-porter, io produco sempre dopo che ho ricevuto l’ordine dal fornitore. Perché tengo acchè il prodotto arrivi sullo scaffale o alla sua destinazione finale con la sua fragranza. Sebbene con i dovuti accorgimenti riusciamo a dare una shelf life di sette otto o nove mesi, a seconda degli olii che si utilizzano, però vien da sé che un conto sia assaggiare un tarallo fatto tre mesi prima, un conto assaggiarne uno prodotto un mese prima.
Mi chiedeva delle spinte: spesso ricevere le mail con feedback più che positivi per il prodotto è la migliore benzina per andare avanti. Non il fatto di aver guadagnato un margine maggiore di danaro.
Sicuramente. Qualche anno fa abbiamo iniziato lo studio del progetto “Marallo” che ha già due anni di vita. Abbiamo provato a fare questo impasto, non è stato facile. Il tarallo ha molta massa grassa, c’è molto olio. Gli ingredienti sono vino, olio e farina. Perché il vino? Perché il vino conferisce al prodotto oltre che una nota di sapore che lo contraddistingue, anche la friabilità e funge anche da lievito.
Quando ho pensato di utilizzare l’acqua di mare non è stato semplice arrivare al prodotto finito. Il sale con la sua funzione igroscopica trattiene i liquidi e quindi nel processo di impasto ha una funzione importante, serve per mantenere legami tra ingredienti che tra loro non si amalgamano, non si emulsionano.
Per altro la farina da utilizzare deve essere una farina particolare.
Siamo riusciti ad affinare la lavorazione con degli accorgimenti naturali, la lavorazione non è forzata con nessun tipo di additivo. Ed è venuto fuori questo prodotto che si orienta verso un mercato di nicchia, perché è stato fatto con l’acqua di mare, quindi attira l’attenzione, ma va contemplato nella linea benessere perché è un prodotto totalmente bio: EVO biologico, farina bio e acqua di mare. Inizialmente il progetto andava nel solco dei prodotti che si rivolgevano a chi seguiva diete iposodiche. Proprio perché non contiene sale aggiunto. Prima di lanciarlo sul mercato, però, volevo capire che appeal potesse avere.
Abbiamo fatto l’anno scorso un panel test con una intervista in 5 Famila diversi (Bisceglie, Bari, Taranto, Brindisi, Molfetta). Presentavamo il prodotto. Tutti si fermavano con la hostess quando sentivano che era fatto con acqua di mare, lo assaggiavano e lo apprezzavano.
Perché se ad una bella idea, non segue l’apprezzamento effettivo, il tutto non ha senso.
La ricerca della differenziazione è un conto, la ricerca dell’evoluzione un altro. Marallo bio è una evoluzione. La differenziazione è quella di iniziare ad avere dei compartimenti di prodotti: la linea benessere per esempio.
La differenziazione noi la subiamo. Proviamo a differenziare ma non è facile. Per esempio uno dei taralli più in voga in questo momento è il tarallo multicereale. Alla fine nessuno ha differenziato nulla, perché lo producono tutti. Piuttosto che sulla differenziazione quindi bisogna puntare sull’evoluzione, su prodotti completamente diversi oppure l’unica cosa che si deve inseguire è lo standard qualitativo. Sul mercato si permane per la qualità, non per altro.
Ci sono prodotti che esistono da una vita e non sono cambiati per niente, né mai cambieranno, perché sono di qualità.
L’azienda ha 22 unità lavorative tra full time, part time e stagionali, più 4 unità di ufficio, più consulenti che vanno dal marketing al tecnologo, ai laboratori di analisi. Anche perché facciamo controlli settimanali delle materie prime e del prodotto.
Facciamo da qualche anno il prodotto a marchio Selex, vi posso garantire che l’ufficio qualità di Selex è peggio dell’FBI! Una battuta per significare che i capitolati sono molto fiscali.
Facciamo anche prodotti per METRO, SIGMA, CONAD che ci mandano gli audit in azienda. Il nostro canale di vendita non è mai stato l’Ho.Re.Ca. per esempio. Lavoriamo sempre a pedane, mai a cartone. Perché è un prodotto che ha ragione di esistere solo se si producono certe quantità e se ne garantisce la fragranza.
La nostra potenzialità è pari a 100-110 quintali al giorno.
Canali distributivi sono principalmente DO e GDO nazionali. L’estero è una cosa su cui Nicola Catacchio, il direttore generale dell’azienda, si sta concentrando. Abbiamo recentemente partecipato alla fiera bio in Inghilterra “Natural And Organic Products Europe 2018”. Anche se le fiere sono prevalentemente vetrine.
Per le indagini di mercato la regione che consuma più taralli non è la Lombardia, dove pure c’è una forte comunità meridionale e pugliese, ma il Veneto.
Secondo i nostri dati di vendita, pur avendo le loro tipicità, come la schiacciatina mantovana, il tarallo va per la maggiore. Nel mondo dei panificati il prodotto che si avvicina di più al tarallo come ingredienti è la piadina, bene, il tarallo segue a ruota e cresce molto di più. Ora stanno tornando anche i cracker, che erano stati dimenticati, perché a differenza di prima, esattamente come per il tarallo, li stanno aromatizzando, diversificando, allargandone l’offerta ai cereali, grani antichi, come sostitutivi del pane.
Il rispetto della tradizione è sempre stato il nostro leitmotiv, cercare di mettere sul mercato il prodotto migliore possibile. Sono pochi principi che ho ben saldi dentro di me.
La busta che abbiamo elaborato ci differenzia dagli altri prodotti e ci rende anche più visibili sullo scaffale. Credo che anche Marallo bio possa fare in modo che il prodotto tarallo possa essere sempre più elevato. La ristorazione lo sta già facendo, sia perché offre il prodotto nel cestino del pane, sia perché sempre più chef stanno utilizzando il tarallo come ingrediente nei loro piatti.
L’idea è stata di creare un pack che desse l’idea di toccare la carta, ma che fosse totalmente differenziabile nella plastica.
Abbiamo dieci forni. Per preservare i taralli da un eventuale irrancidimento degli olii, raffreddiamo i taralli appena sfornati, utilizzando un tunnel di raffreddamento, non con i ventilatori. La selezione del prodotto, inoltre, viene fatta da un addetto, se le teglie risultano con i taralli troppo cotti essi vengono eliminati, così come se sono troppo chiari, vengono scartati.
Poi le grandi ceste con le varie tipologie del tarallo non le posiamo a terra, ma su delle pedane, per evitare le contaminazioni con il pavimento. Sono tutti accorgimenti atti alla qualità di processo e di prodotto.
Oltre vedo la prospettiva che il tarallo possa candidarsi a diventare definitivamente una eccellenza della tavola.
Come azienda abbiamo iniziato ad esportare in California.
Chi fa brokeraggio lì mi ha detto che impazziscono per questo prodotto. Per me l’Oltre è quello! Il sogno americano!
Gli americani mangiano a tutte le ore e mangiano male. Quando inizi a far capire loro che si può mangiare anche in maniera salutare, il discorso cambia. Ci sono anche degli indirizzi governativi che li spronano ad andare in questa direzione salutistica. Quando si vedono arrivare questo prodotto dall’Italia che non deroga dal gusto, ed è anche buono sotto l’aspetto nutrizionale, il successo è assicurato. La Puglia può diventare la California.
Voi di OLTRE siete dei promotori del fare sistema. Per esempio Trani era leader nel calzaturiero, poi è arrivata la Cina e c’è stato uno sfacelo. Invece nelle Marche si sono consorziati e adesso costituiscono un polo mondiale per le calzature e gli accessori di alta gamma.
Noi dovremmo metterci insieme per diventare IGP. Nello specifico noi utilizziamo miscele di grani comunitari: francesi e italiani, però l’obiettivo può essere l’IGP.
Spero non sia solo una mera utopia.
La questione si basa soprattutto sull’informazione, per far capire che c’è una differenza all’interno di quel nuovo pacchetto, e soprattutto una riconducibilità geografica. Noi non abbiamo certificazioni, potremmo avere la PAT, Prodotto Agroalimentare Tradizionale, cioè un prodotto che viene fatto secondo dei criteri di tradizione. E i fiorellini delle maioliche rappresentate sulla nuova confezione significano proprio quello. Non è solo una piacevolezza grafica. Se legge l’etichetta si accorge subito dell’attenzione che poniamo alle informazioni rivolte al consumatore: dalla tabella nutrizionale fino agli ingredienti utilizzati.
Tutto dev’essere chiaro e percepibile a colpo d’occhio: la quantità di grassi, di sale, di zuccheri.
Sinceramente auspichiamo che anche in Italia si possa adottare una tabella nutrizionale come quella imposta dall’attuale normativa in vigore negli Stati Uniti: con una maggiore evidenza dei grassi ed inoltre con l’introduzione in tabella di elementi come le vitamine, il ferro, il magnesio, ecc…
Loro hanno già fatto un lavoro che stiamo cercando di fare in Italia, però se non c’è un’informazione specifica, trasmetterlo diventa complicato. Se venissero elaborate norme che permettano di seguire questi iter burocratici per produrre prodotto di qualità, tutto sarebbe più facile.
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